venerdì 25 febbraio 2011

"Su 'inãi est asutta de ũa tzìccara" - novella di Benedetto Sulas


C’era il sole quella mattina di primavera. E dopo un inverno freddo e piovoso ci voleva proprio un po’ di sole.
Zuannica era andata in campagna, a Is croviàzzusu” (1), a raccogliere asparagi. Era tutta assorta nei suoi pensieri: l’annata precedente non era stata buona e, sebbene lei e suo marito fossero rimasti soli, le scorte cominciavano a scarseggiare. Inoltre, il matrimonio della loro unica figlia aveva esaurito tutti i loro risparmi.
Anche la raccolta delle olive era stata scarsa. Bisognava quindi arrangiarsi in qualche modo per poter superare la crisi.
E gli asparagi erano un aiuto. Fritti con delle uova erano un piatto gustoso e nutriente.
Probabilmente, quelli che aveva già raccolto sarebbero bastati per il pranzo. Il sole era già alto e forse suo marito era rientrato dal campo dove lavorava.




Mentre si accingeva a riprendere il cammino di casa, tutta assorta in questi pensieri, sentì una voce, un bisbiglio. Tese le orecchie.
Era proprio una voce:
- ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! (2)
Invano la donna cercava di scorgere qualcuno in mezzo agli alberi di olivo o oltre la siepe di fichidindia.
La voce riprese: - ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! ‘Omãi Zuannica! Sembrava vicinissima, ma non si vedeva nessuno. Zuannica scosse la testa, forse non aveva sentito niente, forse era stata una sua impressione. Ma non era così, perché la voce continuò.  Omãi Zuannica, seu Tzitza Muntõi. No mi cricchèasa, tanti no m’éisi a podi bì mai!.  (3)
Sant’Anna mia bella! (4)  disse tra sé e sé Zuannica. Tzitza Muntõi era morta quasi un mese prima. Si fece il segno della croce.
Strinse il mazzetto di asparagi e ne sentì l’umidità. Non dormiva, era sveglia più che mai! E non era neanche uno scherzo; era proprio la voce di Tzitza Muntõi, la conosceva bene.
Zuannica voleva fuggire ma non riusciva a muoversi.
Omãi Zuannica! Omãi Zuannica! continuava la voce, vicinissima, Omãi Zuannica! No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu domandai ũ pragheri. (5)
Zuannica ascoltava, spaventata e meravigliata allo stesso tempo. Bazzai de pobiddu miu e naraideddi ca su ‘inãi chi deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara in càmbara bella. Bazzai ‘omari mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa". (6)
Zuannica promise che ci sarebbe andata appena arrivata in paese, poi, sempre spaventatissima, con voce insicura, si azzardò a chiedere: Omari, chi esti beru ca séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu bellu o ĩ logu mau”. (7)
Rispose la morta: No si potzu nai nudda, séttisi ca Déusu esti zustu e bõu pagatori. A immi m’adi domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa. (8)
Dopo queste parole vi fu di nuovo il silenzio della campagna.
Zuannica era fuori di sé. Mise in fretta e furia gli asparagi dentro su scatteddu (9) e si avviò, quasi di corsa verso il paese. Dentro la testa le risuonavano ancora le parole della morta: coronissa… tzìccara…càmbara bella…. Lei non aveva mai creduto che un morto potesse parlare. Tutte le storie che aveva sentito sui morti, che apparivano o che parlavano, aveva sempre pensato che fossero delle fantasie. Ma quello che era successo non era una fantasia. Era realtà. Però voleva esserne certissima.
Appena arrivò in paese non andò a casa sua, ma si diresse di gran fretta a casa della morta. Bussò nervosamente alla porta.
Quando il povero vedovo aprì, se la trovò davanti ansante e sudata. La fece entrare.
Zuannica gli raccontò il fatto. Il pover’uomo si segnò e i suoi occhi s’inumidirono.
Assieme entrarono in sa càmbara bella. Sopra sa coronissa c’era un servizio di tziccarasa, regalo di nozze. Trepidante l’uomo girò prima una tazzina, poi un'altra. Sotto la terza vi erano due monete d’argento.
La storia si diffuse in tutta Riola e nei paesi vicini. Furono fatte fare delle messe in suffragio della morta.
Di questo fatto se ne parlò a lungo. Zuannica era persona onesta e sincera e quasi tutto il paese le aveva creduto.





Note:                           


I SOLDI SONO SOTTO UNA TAZZINA DA CAFFE’

(1)   Is croviàzzusu è il nome di una zona della campagna di Riola.
(2)   ‘Omãi Zuannica. Comare Giovannica. ‘Omai si usa quando è accompagnato dal nome, altrimenti si usa ‘omari.
(3)   Seu Tzitza Muntõi. Sono Tziza (Francesca) Muntõi (Muntoni). Non mi cricchèasa, tanti non m’éisi a podi bì mai!  Non cercatemi, tanto non potrete mai vedermi!
(4)   Sant’Anna mia bella! (Invocazione a S.Anna, cara ai Riolesi)
(5)   No timèasa. Ascuttaimì. Si deppu domandai ũ pragheri. Non abbiate paura. Asoltatemi. Vi devo chiedere un piacere.
(6)   Bazzai de pobiddu miu e naraideddi ca su ‘inãi chi deppiàusu zai a su maist’e linna, no chi dd’iu spéndiu, ma dd’iu arragottu asusu de sa coronissa, asutta de ũa tzìccara, in càmbara bella. Bazzai ‘omari mia, fadeimì custu pragheri, no timèasa. Andate da mio marito e ditegli che i soldi che dovevamo dare al falegname, non li avevo spesi, ma li avevo raccolti sopra la cornice, sotto una tazzina da caffè, nella stanza degli ospiti. Andate comare, fatemi questo piacere, non abbiate paura.
(7)   Omari, chi esti beru ca séisi ‘osu, naraimì mẽ innui s’agattàisi, chi séisi ĩ logu bellu o ĩ logu mau.  Comare, se è vero che siete voi, ditemi dove vi trovate, se siete in un posto bello o in un posto brutto.
(8)   No si potzu nai nudda, séttisi ca Déusu esti zustu e bõu  pagadori. A immi m’adi domandau contu de ũ croppu de péttia chi ‘iu zau a ũ pegu de moa. Non posso dirvi niente, solo che Dio è giusto e paga bene. Per quanto mi riguarda, ha tenuto conto di un colpo di pertica che avevo dato a un asino.
(9)   Scatteddu. Cestello di vimini.

Novella di Benedetto Sulas - tutti i diritti riservati

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