giovedì 15 settembre 2011

Còntusu: “FRAITZU” - di Giuseppe Mocci

All'inizio degli anni '30 del secolo scorso un agricoltore benestante, soprannominato Fraitzu, aprì uno studio fotografico in via Sant’Anna, avendo appreso l’arte qualche anno prima a Roma dove aveva fatto “su permanenti”, cioè il servizio militare.
La clientela era scarsa, ma lui non si scoraggiò; scattò anche diverse fotografie di Riola, che trasformò in cartoline con i “Saluti da Riola”.

cartolina di Riola realizzata dal fotografo "Fraitzu" negli anni '30 

Spese una fortuna, ma i risultati furono deludenti. I familiari, giustamente, non lo aiutarono e dovette abbandonare il mestiere.
Fraitzu, testardo peggio di un mulo, non si scoraggiò e tentò di ottenere un finanziamento bancario per costruire e gestire una sala cinematografica. Naturalmente, data la mancanza di garanzie, non ottenne il prestito e il suo progetto fallì.
Egli, oltre che sognatore, era anche credulone, un moderno Don Chisciotte. Fece per un paio d’anni il cercatore di tesori, in giro per tutta la Sardegna, senza mai trovare nulla di interessante.
Fraitzu credeva anche nell’esistenza del Diavolo e a lui avrebbe venduto l’anima, pur di trovare la ricchezza.
Un sarto burlone, suo amico, venuto a sapere la cosa, un giorno gli propose un colloquio col Diavolo, con il quale, gli disse, era in contatto da molto tempo. Fraitzu accettò subito e chiese all’amico di stabilire luogo e data del colloquio.
Il nostro sarto, di nome Tommaso, nella sua sartoria riceveva spesso un gruppetto di amici, per dialogare e giocare a carte. Una sera comunicò loro l’idea che gli era venuta in mente per divertirsi alle spalle del povero Fraitzu, esponendo subito il suo programma che tutti accettarono.
La data dell'incontro fu fissata per un sabato notte in una vecchia casa abbandonata, appartenente a uno degli amici complici dell’inganno. La casa era inagibile, a due piani; il piano superiore insisteva su un tavolato, con un grosso foro al centro.
Il giorno stabilito per l’appuntamento gli amici si ritrovarono per mettere in scena lo scherzo (sa brulla). Il regista fece salire al piano superiore l’amico Tanieliccu, un giovane molto alto, magro e un po’ gobbo, nudo e mascherato da Diavolo con corna e forcone, ben sporco di fuliggine.
Il Diavolo, al richiamo di Tommaso, aveva il compito di scendere come una saetta dal buco del tavolato per rispondere alle domande di Fraitzu.
Un altro complice era stato sistemato, ben nascosto, nei pressi di un ponticello, di fronte all’oliveto di Signora Tzitza, sulla strada per Nurachi, col compito di uscire dal nascondiglio al momento del ritrovamento di un sacchetto di tela di juta da parte di Fraitzu e di salutarlo.
A mezzanotte di quel sabato, Fraitzu e Tommaso arrivarono nella casa stabilita per il colloquio e, acceso un lumicino, si fermarono proprio sotto il grande buco del tavolato.
Tommaso, tenendo per mano Fraitzu, gli disse:
Càstia, no tìmmasta, su tiau esti amigu miu. Dommandaddi su chi 'òisi!(1) e subito dopo pronunciò la frase convenuta con Tanieliccu:
Bẽi Coitedda, bẽi! Innoga ch’esti ũ amigu chi ti ‘òidi fueddai(2).
Coitedda, il Diavolo, si sprofondò sopra Fraitzu travolgendolo, mentre Tommaso spense il lumicino. Fraitzu, per niente spaventato, chiese subito al Diavolo:
Naramì Coitedda, innui potzu agattai ũ tesoru!(3). 
Rispose pronto Coitedda:
Bai in sa strada de Nurachi. Aintru de su pontigheddu, a fachi de su livàriu de sa Sannora Tzitza ddu esti ũ sacchitteddu prẽu de oru. 
Però, castia... chi non ti bìada nissũsu, chi no s’oru si furriada in crabõi!(4).
Finito il colloquio, Fraitzu, tutto raggiante, ringraziò Tommaso.
Il giorno dopo, all’alba, il nostro povero fotografo, tutto allegro, pensando già alla sala cinematografica che avrebbe potuto costruire con tutto quell’oro, si avviò verso il ponte indicatogli dal Diavolo.
Arrivato sul posto, si voltò a destra e a manca, poi si inchinò sotto il ponticello trovando il tanto sospirato tesoro.
Girandosi tutt’intorno, guardingo, nascose subito sotto la giacca il sacchetto, quando da un cespuglio vicino uscì un uomo che lo salutò amichevolmente.
Fraitzu, alquanto preoccupato per quella apparizione, corse a casa sua e, con mano tremante, aprì il sacchetto, che conteneva del carbone ancora caldo.
Tutto frastornato il credulone si recò subito dal sarto per raccontargli l’accaduto:
Tommasu, amigu miu caru, bisonzada a tzerriai ũ antra 'otta Coitedda, poitta su tesoru d’appu agattau, ma mi dd’adi scontzau ũ baodru chi fudi croccau accanta de su pontigheddu. 
Maradittu siàda! Scuminigau! 
M’adi saludau nendimì "bonzorno tziu Zuseppi" (così si chiamava Fraitzu). 
Cussu disgraziau adi biu tottu!(5).
Ansimando, si mise in ginocchio e continuò:
Faimì su pragheri... 
Nontesta faiddu torrai a Coitedda, s’amigu tuu! Ca chi arrannèssidi su zogu, deu a tia t’app’a fai intrai a tzìnema sèmpiri gràtisi!(6).
Il nostro sarto, fingendosi amareggiato per l’accaduto, serio, gli rispose:
Caru Zuseppi seu troppu arrannegau cũ tui! 
Deu immoi timmu Coitedda, poitta no éusu fattu su chi s’adi nau. 
No, no… mi dispràghidi, ma no potzu fai pru' nudda!(7).

Note:

1) Guarda, non aver paura, il diavolo è amico mio. Domandagli pure ciò che vuoi!
2) Vieni Coitedda, vieni! Qui c’è un amico che ti vuole parlare!
3) Dimmi dove posso trovare un tesoro!
4) Vai nella strada per Nurachi. Nel ponticello, di fronte all’olivetto della Signora Tzitza, c’è un sacchetto pieno d’oro. Però, stai attento che non ti veda nessuno, altrimenti l’oro si trasforma in carbone!
5) Tommaso, amico mio caro, bisogna chiamare un’altra volta Coitedda, perché il tesore l’ho trovato, ma è stato trasformato in carbone per colpa di un balordo che era coricato vicino al ponticello. Che sia maledetto! Scomunicato! Mi ha salutato dicendomi buongiorno Tziu Zuseppi. Quel disgraziato ha visto tutto!
6) Fammi il piacere, stanotte fai tornare Coitedda, il tuo amico! Se riesce il gioco, ti farò entrare al cinema sempre gratis!
7) Caro Giuseppe, sono molto arrabbiato con te. Io adesso ho troppa paura di Coitedda, perché non abbiamo fatto ciò che ci aveva detto. No,no… mi dispiace, ma non posso fare più nulla!

Testo di Giuseppe Mocci 

Editing: G. Linzas
Revisione  dialetto riolese: B. Sulas

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