martedì 31 luglio 2012

"IL PRETE MANCATO, POI VACCARO E INFINE UFFICIALE" - di Giuseppe Mocci

Foto d'epoca: Stazione di Oristano

Nel dicembre del 1950 partii da Riola per Orvieto, sede d’esami per il concorso di ammissione alla Scuola Unica Ufficiali dell’Esercito.
Presi il treno dalla stazione di Oristano, diretto a Olbia. Ricordo che nel mio vagone viaggiava un altro giovane vestito maluccio; aveva un paio di scarpe vecchie e un cappotto di orbace, unto e sfilacciato. Egli stesso si sentiva a disagio e per questo motivo, forse, rimaneva in disparte. Pensai che fosse un vaccaro o un pastore.
Arrivato a Olbia, scesi dal treno con comodo e m’imbarcai, fra gli ultimi, sul traghetto “Città di Siracusa”, una vecchia nave della Tirrenia, sporca e maleodorante. Era il mio primo viaggio in nave per il continente, quindi, privo di esperienza, mi accodai alla numerosissima fila di viaggiatori che fu sistemata in un camerone sporco e maleodorante.
Ricordo che alcuni, esperti di viaggio su quella nave, stendevano sul pavimento dei giornali, sopra i quali posavano una coperta, e ivi si coricavano. Io, che non avevo giornali e vestivo elegantemente, non rimasi in quella bolgia; salii sopra, in una lunga terrazza all’aperto, e vi rimasi per tutta la traversata, seduto in un lungo sedile assieme ad altre persone. Non appena la nave arrivò a Civitavecchia, con gli altri che avevano fatto la notte sulla terrazza, sbarcammo per primi e subito raggiungemmo il treno per Roma. Dopo una mezz’oretta, arrivarono anche i viaggiatori della “bolgia”, puzzolenti e visibilmente sporchi; molti di essi si erano sentiti male; avevano a lungo sofferto il mal di mare, con abbondanti e numerose vomitate.

Foto d'epoca: il "Città di Siracusa" in navigazione

Salì sul treno anche il nostro giovanotto, col cappotto di orbace sulle spalle, bagnato a chiazze e puzzolente; poiché era arrivato fra gli ultimi, rimase in piedi per tutto il viaggio.
Appena arrivammo alla stazione di Roma Termini fui fermato da un graduato dell’Esercito del Comando della Stazione, il quale mi chiese se fossi un aspirante allievo ufficiale. Alla mia risposta affermativa, questo militare mi accompagnò al treno che mi avrebbe portato alla mia destinazione. Trovai il vagone pieno di giovani che, come me, andavano a Orvieto per lo stesso motivo. Facemmo le conoscenze, declinando la provenienza; venivamo da tutte le regioni d’Italia.
Ricordo che durante il viaggio, alcuni andarono in giro negli altri vagoni allo scopo di fare la conoscenza di altri colleghi; io, invece, stanco del viaggio, mi addormentai fino all’arrivo alla stazione di Orvieto. Qui, sul piazzale, trovammo una decina di autocarri con i quali ci portarono in una grande caserma militare (mi pare fosse dell’Aeronautica), dove mi accorsi della presenza del vaccaro, salito sul treno a Oristano.
All’appello dei partecipanti al concorso, appresi che il nostro vaccaro era nativo di un paese dell’oristanese non molto distante dal mio, che era nato nel 1925 e che era laureato in leggi. Mi disse anche che suo padre, allevatore, conosceva mio padre, al quale vendeva formaggio.
Finiti gli esami e le varie visite mediche, tutti fummo rimandati a casa. Io, durante il rientro, mi fermai a Roma con altri tre sardi che conoscevano la città. Fu per me una scoperta meravigliosa e molto interessante.
Ai primi di Marzo del 1951, mi chiamarono alla frequenza del VII° Corso Allievi Ufficiali con sede a Lecce. Ricordo che appena sceso dall’autocarro, nel cortile della caserma, mi sentii chiamare: “Oh Mocci di Riola, io sono arrivato ieri e mi hanno assegnato alla seconda compagnia!
Io, invece, fui assegnato alla prima compagnia, al primo piano della sua stessa palazzina. Il collega, ex vaccaro, non mi lasciò più in pace, mi cercava tutti i giorni, per qualsiasi motivo. I colleghi della sua compagnia non lo tenevano in nessuna considerazione, soprattutto perché era “sardegnolo” e lo avevano visto prima, vestito in borghese, per cui lo chiamavano “il pastore sardegnolo”.
Uno dei primi giorni, durante il periodo di riposo, egli mi raccontò la sua storia, che io già conoscevo da un mio compagno di liceo, suo compaesano, da me interpellato al rientro da Orvieto.
L’ex vaccaro, dopo la frequenza delle elementari nel suo paese, fu inviato a Cuglieri per frequentare il Seminario vescovile. Il padre voleva fare di lui un prete; consuetudine questa ancora radicata negli uomini di un certo censo, ma ignoranti. Il nostro giovane non aveva nessuna vocazione; infatti, arrivato all’ultimo anno di corso, abbandonò il seminario.

Foto d'epoca: Seminario di Cuglieri

Il padre padrone, allora, lo mandò ad accudire la stalla e a guidare la mandria al pascolo. Egli era diventato un vaccaro e vestiva anche come i vaccari. Ubbidiente, rimase vaccaro per ben cinque anni, ma nel frattempo, egli, da privatista, prese il diploma del liceo classico; poi s’iscrisse alla facoltà di leggi e si laureò regolarmente.
Arruolatosi militare, pensò solo a studiare; non usciva mai dalla caserma in “libera uscita”. Poiché non aveva un fisico da atleta come la maggioranza degli altri colleghi, l’istruttore gli dava sempre un brutto voto e lo apostrofava malamente; non riuscì mai a saltare il muro del percorso di guerra. Poiché quattro insufficienze in altrettante materie erano motivo di espulsione dal Corso, il nostro ex vaccaro studiava molto, riportando i voti più alti in tutte le altre materie.
Ricordo che un giorno, a un mio rimprovero perché non usciva mai in “libera uscita”, mi rispose. “Mocci, questi mi vogliono mandar via, ma io li frego! Con una sola insufficienza non possono mandarmi via. Io voglio far carriera militare, e poiché sono laureato in leggi mi devono mandare in Commissariato, come io ho chiesto nella domanda di arruolamento. Farò l’ufficiale Commissario!”. E così fu. Dopo trent’anni di servizio andò in pensione col grado di Colonnello del corpo Commissariato dell’Esercito. 

Testo di Giuseppe Mocci - tutti i diritti riservati.
Editing G.Linzas

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