giovedì 30 agosto 2012

"I RIOLESI E LA VILLEGGIATURA AL MARE" di Giuseppe Mocci

Nel secolo scorso, i Riolesi andavano in villeggiatura (modesta ma festante) al mare; sempre dopo la Festa di Sant’Anna, che cade il ventisei di Luglio.
Agli inizi del ‘900, fino agli anni venti, la maggioranza andava a Su Pallosu, Comune di San Vero Milis; una piccola minoranza, invece, preferiva San Giovanni di Sinis, Comune di Cabras. Questa minoranza faceva capo al famoso Cav. Giuseppe Zoncu, riolese, che vi costruì anche una comoda casa, di fronte alla Chiesa paleocristiana e in mezzo alle case dei nurachesi.

Foto d'epoca: San Giovanni di Sinis - anni '20

Gli altri riolesi si accampavano in capanne di frasche, che realizzavano (a schiera) di fianco alle case dei nurachesi, in direzione di Cabras. Così usavano fare anche i pochi cabraresi e i nurachesi che non possedevano casa a San Giovanni.
Di questa località marina, io ho molti bei ricordi. Nell’estate del 1939, la mia famiglia passò la villeggiatura nella casa di una persona di Nurachi.
Fra i tanti ricordi, uno non lo dimenticherò mai: il bagno delle donne. Esse, soprattutto le riolesi, le nurachese e le cabraresi, usavano appartarsi in una spiaggia isolata, situata lungo la pista che porta a Capo Seu, chiamata Sala ‘e Bàllusu" (era una vecchia cava di arenaria)
Le medesime donne, quasi tutte ultra quarantenni, come mia madre, vestivano un costume strano e singolare: una lunga gonna nera.
 La spiaggia, per quanto isolata, veniva sorvegliata a turno da un familiare. Un giorno, toccò a me fare la guardia; avevo nove anni ed ero un po’ timido e timoroso. Allora feci venire con me un amico e coetaneo, un certo Antonio Caria.
Quel giorno non passò nessuno, ma io e l’amico ci siamo divertiti tanto nel vedere le parti intime di quelle donne. Il costume (la gonna), infatti, non essendo bloccato alle gambe o alle cosce, si sollevava e lasciava scoperto gran parte del corpo; molte donne non avevano le mutande.
La villeggiatura a San Giovanni finiva dopo la Festa di San Salvatore, che si svolgeva nell’omonimo villaggio, a pochi chilometri di distanza, nella prima domenica di Settembre.

Foto d'epoca: Riolesi a Su Pallosu

I numerosi riolesi che villeggiavano a Su Pallosu costruivano le capanne di frasche ed erbe palustri lungo la spiaggia, dal fabbricato della vecchia tonnara, a nord-ovest, fino a un gruppo di case, dette dei Sanveresi, a Sud-est.
Le capanne sfioravano la riva e, certi anni, venivano costruite su due fila. Ogni capanna aveva un gabinetto a pozzo morto e un piccolo recinto per le galline e i polli novelli:is cabõìscusu. Non solo, ma ogni famiglia disponeva anche di una botte per l’acqua potabile; per gli altri usi, si usava l’acqua del mare (lo spettacolo non era sempre dei migliori!).
Molti riolesi, soprattutto quelli che soffrivano di disturbi respiratori, ed erano molti, andavano di preferenza a Su Pallosu, anche su consiglio del medico. Questi malati si recavano in cima a un’alta duna di sabbia pulitissima, che si trovava dietro il fabbricato della vecchia tonnara. Oggi su quella duna, spianata, sorgono le villette di Iosto Puddu e del cognato Salvatore Pisanu, di San Vero Milis.
Con la costruzione della strada provinciale Riola-Cuglieri, molti riolesi abbandonarono la spiaggia di Su Pallosu e preferirono la spiaggia di Is Arenas (nota ai riolesi come Sa Praia Manna), facilmente raggiungibile in un’oretta di carretta.
Nel dopoguerra, i riolesi lasciarono anche questa spiaggia e, in gran parte, si spostarono a S’Archittu, circa un chilometro più avanti, in territorio di Cuglieri.
Questo avvenne nel 1944, quando tutte le spiagge del Sinis erano ancora minate, perché, fino all’anno precedente, la Sardegna era ancora in guerra e si temeva uno sbarco degli Anglo-americani proprio su quelle spiagge.
Da allora e per una ventina di anni, i Riolesi preferirono villeggiare a S‘Archittu, dove costruirono le famose capanne lungo la spiaggia, a pochi metri dalla riva.
Era uno spettacolo meraviglioso e si protraeva, per alcune famiglie (come per la mia), fino ai primi di Settembre. Sopra la spiaggia, su un campo pianeggiante, ad un’altezza di cinque-sei metri, si accampavano invece i narboliesi, i seneghesi e gli scanesi. Questi montanari erano paurosi, non abituati come noi riolesi a vivere vicino all’acqua (il fiume e lo stagno di Mar ‘e Foghe).
Le nostre capanne, simili a quelle che si costruivano prima a Su Pallosu, distavano dalla riva pochi metri; anche lo scenario era identico.
L’acqua potabile veniva portata da una vicina sorgente,Sa mitza de sa canna, che dava e dà ancora origine al torrentello che passa tuttora sotto il ponte, prima di arrivare a S’Archittu.
L’acqua era purissima e molto fresca, però era poca e bisognava attendere molto, dato il numero eccessivo degli assetati.

Spiaggia di S'Archittu

Nel 1947, i riolesi in villeggiatura si rifornivano d’acqua potabile a Santa Caterina (un po’ più lontana della predetta sorgente).
In questa località, sul mare e in territorio di Cuglieri, c’era infatti una grande sorgente con acqua abbondante, fresca e purissima, situata a circa cento metri dalla riva del mare, vicino alla caserma della Guardia di Finanza.
A Santa Caterina, allora, c’erano poche case costruite lungo la strada; un’altra casetta era di fianco alla caserma, mentre più avanti, sulla strada per Cuglieri, c’era la bellissima Cantoniera (fino a Cuglieri, poi, non c’erano altre costruzioni). Un’altra decina di piccole abitazioni erano sparse intorno alla chiesetta di Santa Caterina, ed erano abitate durante le novene della Santa; raramente, queste erano utilizzate d’estate. I cuglieritani, autentici montanari, allora, non frequentavano il mare; essi preferivano Su monte ‘e s’ozu.
Del rifornimento dell’acqua a Santa Caterina, ho anche un ricordo non molto bello. Trattasi dell’ultimo viaggio, fatto come sempre in barca, in compagnia dell’amico Efisio Enna e di un altro amico nostro coetaneo, figlio di un pescatore bosano che operava a S’Archittu.
Questo pescatore aveva una grande barca a vela e  una barca a remi, che spesso ci prestava per portare l’acqua da Santa Caterina. Il capo barca era suo figlio, nostro amico.
Una sera, intorno alle sei, caricate sulla barca le damigiane della mia famiglia e di quella di Efisio, partimmo per la nostra bella missione. La barca (tipo lancia, lunga circa cinque metri) aveva due ordini di remi; l’amico bosano era fisso ai suoi remi, mentre io ed Efisio ci alternavamo agli altri.
In mezz’ora, con un mare piatto e in assenza di vento, arrivammo a destinazione. Riempite le damigiane e caricatele sulla barca, marinai provetti, ripartimmo con slancio per il rientro a S’Archittu.
La barca si trovava già fuori dal golfo e noi ci accingevamo a virare a Sud, quando, prima del tramonto, improvvisamente scoppiò un temporale; si fece buio pesto e cadde tanta acqua.
Efisio ed io, spaventati, cercammo di convincere l’amico capobarca a rientrare a Santa Caterina; ma questi, già esperto marinaio, ci convinse a proseguire, dicendoci che il temporale sarebbe cessato subito, come spesso accade d’estate.
A un certo punto, poiché la barca iniziava a imbarcare acqua, l’amico ci mise in mano dei barattoli vuoti e ci invitò a svuotare lo scafo, mentre lui remava con forza verso il largo per paura che fossimo spinti contro la costa rocciosa. Fortuna volle che incominciasse a lampeggiare, cosicché la costa fu rischiarata per un attimo e ci permise di indirizzare la prua verso S’Archittu.

Scogliere tra Santa Caterina e S'Archittu - mare in burrasca

La barca, tuttavia, imbarcava sempre più acqua, per cui io ed Efisio proponemmo di alleggerirla gettando le damigiane in mare.
Il nostro comandante, fermo e deciso, ci impose il silenzio, apostrofandoci pesantemente e invitandoci a continuare lo svuotamento dell'acqua dallo scafo. Obbedimmo, mentre egli cercava di individuare le due isolette che si trovano un po’ prima della spiaggia di S’Archittu. Non si vedeva nulla e bisognava remare verso il largo e attendere un lampo per vedere la costa.
Intanto, erano passate almeno tre ore e i nostri familiari, allarmati per il nostro ritardo, si recarono a Santa Caterina dove appresero che noi eravamo partiti da diverse ore. Essi, allora, rientrarono a S’Archittu lungo la costa alta e rocciosa, con la speranza di vedere la barca. Tutto inutile; il buio non permetteva di vedere oltre i cinquanta metri.
A S’Archittu i nostri familiari e gli amici erano atterriti, convinti del nostro naufragio. Noi (come ci raccontarono dopo) ci trovavamo oltre le due isolette, di fronte alla spiaggia, quando un altro lampo illuminò la zona. Ci fu un grande urlo da parte nostra e un forte richiamo, misto a pianto, dei nostri familiari. L’amico bosano drizzò la prua verso la spiaggia, dove finalmente arrivammo in pochi minuti, sani e salvi.

Testo di Giuseppe Mocci 

Editing G.Linzas

2 commenti:

  1. vorrei fare una precisazione: la casa che si trova ancora oggi di fronte alla chiesa paleocristiana di San Giovanni ,era di proprietà della famiglia Loche Salvatore di Riola

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