giovedì 17 aprile 2014

SA CHIDA SANTA Ĩ ARRIORA - Storia e tradizioni della Settimana Santa

Babballòttisi - Foto L. Orrù (2010)

I RITI DELLA SETTIMANA SANTA” 
Testo tratto dalla brochure pubblicata dal Comune di Riola nel 2012

Anche a Riola, come in tantissimi altri paesi dell’isola, la Settimana Santa vede il suo culmine di suggestività il venerdì santo (Canàbara Santa), giorno in cui si rivisita in chiave drammatica la deposizione di Cristo, meglio conosciuta in Sardegna comeSu Scravamentu
Ci si prepara a questa cerimonia il Giovedì Santo (‘Iòbia Santa), celebrando dopo la messa crismale delle 9,30 la “Messa in coena domini”, durante la quale si pratica la “lavanda dei piedi” e vengono consegnati i mazzetti di fiori ed erbe benedetti ai fedeli (is arramallèttusu), composti di due tipi di menta (menta sarda e menta limonia), malvarosa (bravvarrosa o brabarrosa), viole (fiòasa), la ruta (sa ruta) e alcune altre tipologie di erbe e fiori profumati.
In quel momento è già allestito il sepolcro (su sapplucu), adornato consu nènneri, gli steli di grano fatti germogliare al buio e quindi pallidi ed esili come quelli cresciuti nel sepolcro del Cristo.
Il sepolcro viene custodito dai confratelli, che vegliano su di esso sino alla mattina successiva.
Il venerdì santo, alle 7,30 del mattino, si percorre la Via Crucis. 
La sera, alle 19,00, avviene “l’adorazione della Croce”, durante la quale le confraternite delle Anime (Is animasa), dello Spirito Santo (Spiridu Santu), del Rosario (S’Arrosàriu), e le prioresse (Is Priorìssasa), baciano, a turno e compiendo la genuflessione, Sa bera rughi (la vera croce).
Le campane tacciono in segno di lutto sino al giorno di sabato, dando spazio ai giovani che per avvisare i fedeli della cerimonia suonano degli arcaici strumenti (i’ matràccasa, is tabèddasa e is arraĩghèddasa).
Questa primitiva esecuzione di suoni era chiamata mumundìusu e rappresenterebbe secondo alcune fonti gli sbeffeggi subiti da Gesù da parte dei soldati romani e dei farisei. C’è anche chi sostiene che sia un’antica pratica pagana atta ad allontanare gli spiriti maligni.
Alle 20,00 di venerdì inizia Su scravamentu, la deposizione di Cristo dalla croce, che viene impersonata dai suoi protagonisti con l’ausilio di una grande scala e di due lunghi veli.
Qualche decennio fa non era il parroco del paese a coordinare la cerimonia ma un “predicatore” (su predicadori), anch’esso naturalmente sacerdote, ma che veniva apposta per questo evento dai paesi limitrofi e che era, probabilmente, preposto per questo arduo compito. 
Alcune persone anziane ricordano un certo Don Faedda, che da sopra il pulpito (sa trõa) si impersonava talmente tanto nel suo ruolo di predicatore che le donne che assistevano alla cerimonia piangevano dalla commozione.

 retro di copertina brochure pubblicata dal Comune - foto Nicolasarts

Dal momento in cui il Cristo viene sistemato nella lettiga (sa lattera), inizia S’interru (il funerale di Gesù), e i Babballòttisi - giovani e anziani del paese, coperti da una tunica bianca da dove si possono intravvedere solamente gli occhi e i piedi nudi - percorrono (per devozione o per lo scioglimento di un voto) le vie del paese, portando a turno sulle spalle la pesante croce in legno, seguiti dal simulacro del Cristo e dell’Addolorata e dalle confraternite che trasportano il Cristo deposto.
Is coggius (“còzusu” in riolese) intonati dai fedeli, accompagnano la processione. Ma su di essi si deve fare una considerazione importante, infatti, proprio grazie al sacerdote Giovanni Antonio Sechi (1869-1946), parroco riolese, questi bellissimi canti sono stati trascritti e si possono trovare in alcune biblioteche dell’isola. Il libro scritto dal canonico si intitola appunto “Coggius”, edito dalla tipografia Concu.
Il manoscritto originale di quest’opera si trova ancora a Riola, custodito in un’abitazione privata del paese. Ma anche tanti altri canti e suoni della settimana santa a Riola sono di notevole importanza. 
Per capirli meglio si può far riferimento a un articolo del settimanale “Vita Nostra”, uscito il 24 marzo 2002, firmato dal maestro Ivo Zoncu.

In tutta Europa, nel basso medioevo, si diffuse la drammatizzazione della Passione di Cristo. La sacra rappresentazione si adattò e cambiò i connotati a seconda dell’ambiente […]
La settimana santa si articolò totalmente in quel clima di "humilitas" cristiana, nuovo ideale del XII secolo, da quando Bernardo di Chiaravalle configurò la vita quotidiana come espressione dell’umiltà cristiana nel “teatro mundi”; questo per spiegare che i credenti diventarono protagonisti di un teatro che si proponeva come autorappresentazione, con la figura di Cristo al centro di essa.
Trasferiti questi concetti in Sardegna, le sacre rappresentazioni si trasformarono in un elegante intreccio di teatro e musica, di sacro e profano. Il canto gregoriano visse accanto a quello etnico, talvolta “a tenores”.

La lingua latina e greca ben convisse con quella sarda e, nella stessa drammatizzazione scenica, furono presenti elementi della cultura nuragica: arramallèttusu, nènneri e pipia de Màiu. […]
In tantissimi paesi le sacre rappresentazioni sono tuttora vive e conservano un’affascinante e mistica teatralità, esaltate da suggestivi costumi e struggenti canti dall’antico sapore.
Molti Centri meriterebbero di essere menzionati, perché in ognuno ancora oggi vive un rito originale ed importante, da Castelsardo ad Alghero, da Santu Lussurgiu a Riola, da Oristano ad Iglesias.
Io mi limiterò a fare alcuni esempi: ad Alghero, la drammatizzazione (cantata in catalano) è affidata a dei professionisti delle diverse confraternite e a degli attori preposti a interpretare il Cristo, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e tutti gli altri personaggi importanti del dramma liturgico. I fedeli, invece, sono spettatori: è questa una tipica caratteristica rinascimentale.
Così pure nella suggestiva Santu Lussurgiu: le preghiere vengono cantate prima in Chiesa e poi in strada, avvalendosi sempre, però di professionisti (es. coro a tenores Su Cuncordu). 
A Riola i fedeli partecipano al rito in modo attivo, intonando laudi modiche e i rosari (in latino, in greco e in sardo). Le diverse confraternite curano la drammatizzazione avvalendosi di “attori” del paese […]
In passato le confraternite eseguivano con i fedeli canti monodici che dal punto di vista analitico risultano una fusione di canto gregoriano e di nenia sarda. I testi narravano la passione e la flagellazione di Cristo.
Le campane suonavano solo il giovedì, con rintocchi lenti e tristi. In questo giorno, per tutta la notte, le confraternite facevano veglia al sepolcro cantando in sardo il rosario e le laudi, somiglianti a “Is attìttidus” recitativi. Solo agli uomini era permesso partecipare. 
Il venerdì santo la drammatizzazione raggiungeva l’apice con Su Scravamentu. La mattina di questo giorno, durante la Via crucis, si cantava lo Stabat Mater e lo si ricantava la sera sotto la croce, seguito dal rosario e dalle diverse laudi. Le preghiere, sempre monodiche, accompagnavano la processione […] 
Cantavano i fedeli con le confraternite. […] 
Dal punto di vista stilistico il canto ci rimanda al medioevo, ma continuano a rivivere i moduli gregoriani con i vari modi sardi. […] 
La domenica finalmente le campane suonavano a festa: si sentiva “s’arrappiccu” (lo scampanellio dal ritmo concitato di ballo sardo). Il Gloria e gli altri canti innodici di gioia venivano reinseriti nel rito. 
Durante la processione, che culminava con l’incontro tra Maria e Gesù, si suonavano le laoneddas, accompagnate dall’organetto; alcune musiche erano in tonalità maggiore, con accenni di danza.
Questi erano gli antichi suoni di festa. Tutta la comunità riviveva la resurrezione di Cristo e festeggiava la Santa Pasqua.

L’intreccio etnico e religioso del Venerdì Santo termina col rientro in chiesa dei protagonisti della funzione e dei numerosi fedeli che ogni anno partecipano attivamente a questa cerimonia.
Il sabato, il suono delle campane richiama i fedeli alla veglia pasquale che si svolge alle 21,00.
La domenica di Pasqua la prima messa è alle 8,00 del mattino ed è seguita dalla processione che culmina con l’incontro (S’incontru) di Maria e Gesù, verso le 10,30, orario in cui i due cortei distinti si incontrano in una piazza del paese: il simulacro del Cristo risorto viene portato dalla confraternita dello Spirito Santo, mentre quello di Maria “vestita a festa” dalla confraternita del Santo Rosario.
L’incontro è preceduto dalle tre genuflessioni dei simulacri, portati uno a cospetto dell’altro. Il velo della Madonna, nero in segno di lutto, viene tolto dal capo della Vergine ad opera della prioressa del Santissimo rosario, mentre tra fuochi d’artificio e campane in festa un brivido di vibrante emozione conquista i presenti.
Dopo l’incontro si rientra in parrocchia e si prosegue con la celebrazione della Santa Messa.


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