venerdì 24 luglio 2015

Il Sinis di Riola: annotazioni; “ su ‘acchibi de Zuanni Mòntisi"

La provinciale n. 66, nota ai riolesi come “Su cammĩu mannu”, è la principale strada di accesso al Sinis di Riola, la direttrice da cui si dipartono le altre diramazioni che permettono di raggiungere le varie località del territorio riolese: su cammĩu de Pruĩsi, su cammĩu de Funt’Arrizòĩsi, su cammĩu de Oru ‘e Simbua, su cammĩu de Matta ‘e Isterri, ecc. 
Su “cammĩu mannu” ha inizio poco dopo il ponte di Riola, percorrendo per alcune centinaia di metri  la S.S. 292 (direzione Cuglieri)  per poi prendere a sinistra sulla nuova rotonda.
Attraversa il territorio di Riola per circa dodici chilometri fino a raggiungere la località di “Su Cuccuru Mannu” dove sono situate le cave d’arenaria ora dismesse, nelle quali è stato realizzato il “Parco dei suoni e della musica”.
Poco distante, la roccia di “Sa punta ‘e s’ancòdia” costituisce il punto più ad ovest del territorio riolese, linea di confine costiero con il comune di San Vero Milis (1) . Le alte falesie di "Sa Roia 'e Su Cantaru", invece, segnano il confine con il comune di Cabras.

Punta 'e s'ancòdia

In passato percorrere questa strada – una pista polverosa, sconnessa e piena di buche – significava fare un viaggio avventuroso, alla scoperta di un paesaggio vario, ricco di colori e profumi, popolato da una gran varietà di animali e uccelli. 
Alberto Ferrero Della Marmora, geografo e naturalista, viaggiatore e conoscitore della Sardegna dell’’800, nel libro “Itinerario dell’isola di Sardegna(pubblicato nel 1860) descrive così il Sinis: 
La parte più rilevante del Sinis è però incolta, per cui è uno dei luoghi dell’Isola più adatti alla caccia al volo. Lungo la riva occidentale del grande stagno di Cabras, fin dopo Riola, ci sono paludi e zone umide, in cui abbonda la selvaggina: beccacce, beccaccini, anatre, gallinelle d’acqua, pivieri ecc. La regione montuosa del Sinis è popolata da una grande quantità di pernici oltre che di quaglie, che qui si fermano per tutto l’anno, mentre la pianura secca è la dimora principale della piccola otarda; perciò segnalo questa zona agli amanti della caccia al volo”.

I riolesi, ancora fino alla metà del secolo scorso, con carri e carrette o più semplicemente a piedi, percorrevano quotidianamente le strade e i sentieri del Sinis per raggiungere su sattu:
i campi da lavorare, i pascoli per il bestiame o le vaste distese ricoperte di macchia mediterranea (lentischi, ginepri, cisti, palme nane, ecc.) dove si svolgevano varie attività che contribuivano al sostentamento familiare. Ad esempio la caccia a conigli, lepri, pernici o cinghiali; la raccolta della legna e delle fascine ricavati dagli arbusti della macchia; la raccolta delle lumache; ecc..


    [“In quelle strade polverose si passava in carretta rientrando dal mare dalla gita domenicale.  Ricordo che le donne, per non sporcarsi nuovamente (al mare ne approfittavano per lavarsi, utilizzando al posto del sapone “su tabatzu”, ossia un pezzetto di tegola, come fosse una pietra pomice), si coprivano dalla testa ai piedi con gonne e lenzuola. 
Arrivando all'altezza di Mont'e Palla lo spettacolo che si  apriva agli occhi, e che non potrò mai dimenticare, era di una bellezza sconvolgente. Una grande distesa verde di lentisco (non c'erano alberi di alto fusto) e una grande macchia bianca, Sa'e Proccusu.]  
       [“Dalle falesie in prossimità di "Sa roia 'e su cantaru" uscivano cascatelle di acqua dolce. Mia madre raccontava che le capre, grandi arrampicatrici, sovente si abbeveravano sulle rocce. L'acqua peraltro veniva utilizzata anche da coloro che vi si trovavano a passare”.] 
      (racconto/memorie di Anna Maria Sanna)


Le vaste aree incolte del Sinis oltre che i terreni facenti parte della Comunella (2) - costituivano territorio di pascolo per caprari riolesi e cabraresi  (le capre, notoriamente, si adattano a tutti i tipi di terreno e di vegetazione, e particolarmente ai suoli pietrosi e rocciosi, scoscesi, ricoperti di macchia).
Tra gli ultimi allevatori che hanno operato nel Sinis, fino agli anni '50 del secolo scorso, si ricordano i Demontis e i Marongiu di Riola, legati da stretti vincoli di parentela, e i Manca di Cabras (soprannome: “Anni Anni”) le cui capre pascolavano su un'area piuttosto ampia, fino ai confini del comunale riolese . L’ovile di questi ultimi  (“su ‘aibi”, in dialetto cabrarese) era dislocato nelle antiche cave di arenaria di Is Aruttas . 
Dell’attività di caprari dei Demontis rimane ancora oggi una delle testimonianze più interessanti: Su ‘Acchibi de Zuanni ‘Mòntisi (3), ossia il ricovero per le capre realizzato nei primi decenni del '900 da Giovanni Demontis (1875-1968).

'acchibi  ('aibi) di  Is Aruttas famiglia Manca, Cabras

Giovanni Demontis (1875-1968)

Lo si può notare percorrendo "Su cammĩu mannu" in direzione Su Cuccuru Mannu, dopo Mont’e Palla, a meno di un chilometro dal Parco dei Suoni. Approssimativamente all’altezza della collinetta ricoperta di macchia mediterranea in cima alla quale un tempo sorgeva il nuraghe denominato “S’Uraccheddu Piudu”, oggi sostanzialmente distrutto, visibile  sul lato sinistro della provinciale. 
Si tratta di un grande recinto circolare costituito da un muretto a secco alto circa un metro, con un diametro di 26-32 metri, situato su un sensibile rilievo digradante verso la salina di “Sa ‘e Pròccusu” (già sito nuragico). Una bella palma nana adiacente lo impreziosisce; in alcuni tratti il recinto è danneggiato.
L’ovile, nel periodo del suo utilizzo, aveva una sorta di copertura realizzata con legname, frasche o fieno palustre, necessaria per riparare gli animali dal sole o dall’umidità della notte nella stagione estiva,  e dalle intemperie durante il periodo invernale.


Su 'acchibi  visto dall'alto (foto 1) e lateralmente (foto 2)

Oggi “Su ‘Acchibi” non svolge più la sua antica funzione. Colpisce per le sue dimensioni che lo fanno risaltare in un paesaggio caratterizzato da vaste estensioni di terreno coltivato a cereali, laddove un tempo la macchia mediterranea ricopriva a perdita d’occhio  la zona circostante.
Sembra quasi una struttura  nuragica o pre-nuragica che richiama alla memoria la preistoria della penisola del Sinis. Certamente un'eredità della nostra cultura più antica, da preservare e tutelare.

di Gilberto Linzas


Note:  

1) Si tratta di una grande roccia a forma d’incudine, protesa sul mare cristallino, nota anche per il detto riolese “bai e scavuadinchi de sa Punta ‘e s’ancòdia”.

2) La "Comunella" - Comunione generale dei pascoli di Riola Sardo -  è un istituto creato agli inizi del '900  per regolamentare i diritti di pascolo dei pastori (e allevatori di bestiame in genere) e quelli degli agricoltori, sia sui terreni di proprietà comunale che su quelli  privati. 
La Comunella ricalca l'antica consuetudine comunitaria dell'alternanza biennale dell'utilizzo dei terreni, i quali venivano  suddivisi in zona Vidazzoni, destinati alla semina, e poberibi, riservati al pascolo (si veda anche il  seguente post: La Comunella (clicca qui));

3) "(b)acchibi": (lat. *Vaccile), ossia ricovero/recinto per le vacche; termine che per estensione viene utilizzato a indicare il ricovero di animali in genere, sia bovini che ovi-caprini (si veda il ditzionariu Sardu Unificadu di Tonino Mario Rubattu)



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