lunedì 4 settembre 2017

Ricordi d’infanzia: "L’ORTO DI MICHELE" - di Gilberto Linzas


L'Orto di Michele - ortofoto 1977 (cliccare sulla foto per ingrandire)

Tra i luoghi importanti della mia infanzia, uno in particolare è rimasto impresso nella mente e nel cuore: l’Orto di Michele.  Un luogo che è stato campo di battaglie, di scorrerie e divertimenti, luogo dove prendevano forma e vita le fantasie e i sogni di un gruppo di ragazzini.
Tutto ebbe inizio intorno alla metà degli anni '70, tra i banchi di scuola delle elementari, la dove generalmente nascono le prime amicizie, quei legami che rimangono nel tempo.  
Ogni mattina davanti al grande edificio scolastico di via Roma  io e i miei compagni, col grembiule nero e il fiocco,  ci ritrovavamo nel piazzale prima che suonasse la campanella  e iniziavamo a parlare di calcio, di fumetti e di film visti alla televisione, immaginando imprese avventurose.
La scuola non era molto distante da casa mia. Per raggiungerla prendevo la scorciatoia, un sentiero sterrato che, fiancheggiando una lunga siepe di fichidindie, attraversava due grandi campi incolti (is cunzàusu) dove ora sorgono la caserma dei carabinieri e le scuole medie. 
L’edificio scolastico -  risalente agli anni ’30 del secolo scorso - appariva all'improvviso maestoso, con l’ampio cortile  circondato da un alto e spesso muro di cinta e da imponenti alberi di eucalipto sui lati (muro sopra il quale spesso salivamo per rincorrerci e  giocare con cerbottane di canna all’ombra dei grandi eucalipti).
Uno dei miei più cari amici di allora era Michele, appassionato come me di fumetti. Aveva un vero talento per il disegno; ricordo ancora una bella raffigurazione di Tarzan fatta in prima o seconda elementare e dei fantastici fumetti - realizzati nel periodo delle scuole medie - sceneggiati e disegnati su un quaderno scolastico con grande maestria.
La casa di Michele era sulla stessa via della scuola, a circa duecento metri di distanza, in direzione di Baratili.  Ed è proprio dietro il suo cortile che si estendeva il famoso “Orto”, una vasta proprietà appartenente a più famiglie che sarebbe divenuta il nostro parco-giochi, rifugio di tanti pomeriggi primaverili ed estivi.  
Dal sentiero a lato della casa si raggiungeva l’area dell’ex stabilimento di gazzose; stabilimento che aveva funzionato  credo  fino ai primi anni settanta; ricordo ancora le caratteristiche bottigliette di vetro con la scritta F.lli Zoncu distribuite in tutto il paese su cassettine di legno (molto richieste soprattutto durante il periodo estivo; la gazzosa allora era utilizzata per allungare il vino oppure con l’orzata o la menta).
All’interno del piccolo fabbricato vi era una gran quantità di cassette piene di bottigliette vuote accatastate un po’ alla rinfusa e attrezzature varie che occupavano tutto lo spazio disponibile, mentre nel piazzale esterno giaceva un mastodontico macchinario, di colore giallo, in parte arrugginito, con cinghie, grate e grandi lastre di metallo. Era per noi il famoso “carro armato” sul quale salivamo per condurre le nostre fantasiose “operazioni di guerra”
Nell’area adiacente, occupata in parte da un agrumeto, i reflui della fabbrica avevano creato una sorta di acquitrino da noi ribattezzato “la palude”. Durante i nostri giochi lo attraversavamo utilizzando delle pedane poste in vari punti.
Più a nord dello stabilimento si estendeva invece un grande aranceto, delimitato ai lati da frangivento di cipressi altissimi sui quali ci arrampicavamo (non senza difficoltà) per scrutare il panorama circostante e i tetti del paese.
All’estremità di questo riquadro vi erano numerose piante di nespole e un gran noce; più oltre - là dove l’orto confinava con Su cammiu de Sant’Rabara -  insisteva una struttura in cemento armato con un pozzo profondo diversi metri nel quale vi erano residui di carbone: era una sorta di “fornace” di cui non ho mai saputo il suo  effettivo utilizzo.  
Il lato destro della proprietà, invece, era occupato da Su cunzau de Tzia Silvia, un ampio terreno coltivato generalmente a carciofi, alla cui estremità nord era stata realizzata una stalla dove trovavano ricovero alcuni bovini.  Ricordo che proprio in questo terreno Michele aveva trovato una piccola "figurina" egittizzante (forse in avorio; sicuramente molto antica), che mi aveva mostrato una delle prime volte che andai a casa sua.
Ecco, questa era la geografia del "nostro" territorio; un territorio che, nella nostra fantasia, doveva essere difeso e protetto dai numerosi nemici immaginari.
Come detto, qui passavamo i lunghi pomeriggi primaverili ed estivi. Ci ritrovavamo quasi ogni pomeriggio, dopo pranzo, a casa di Michele (eravamo sempre almeno quattro o cinque amici; tra questi Fabiano, Armando, Pietro, Franco e altri ancora), accolti con straordinaria gentilezza da sua madre, e da qui ci dirigevamo nel nostro territorio.
Raggiungevamo Su Cunzau de Tzia Silvia e percorrevamo il sentiero fino ad arrivare alla siepe nord, vicino alla stalla, dove avevamo creato il nostro quartier generale.
La siepe, larga alcuni metri, era costituita da rovi, arbusti e alberi non più alti di due-tre metri; la loro cima era avvolta da rampicanti che costituivano quasi delle “nuvole” verdi.   All’interno della siepe avevamo creato dei passaggi e piccoli ambienti-rifugio; uno di questi, il più simbolico, era la cosiddetta “armeria”, dove erano conservate le lance e gli archi con le frecce di legno che avevamo costruito. Ci arrampicavamo in cima agli alberi, sopra le “nuvole”, passando agevolmente da una all'altra, controllando il sentiero sottostante e tutta la zona circostante. Era un vero divertimento!
Ogni tanto andavamo "in missione esplorativa" nelle altre zone dell’orto o nelle paludi di “Godzilla” (cosi ribattezzate da Michele), ossia gli acquitrini e i canneti del fiume dall’altra parte di Su cammiu de Sant’Rabara.
Ricordo bene anche i giochi nel cortile di Michele e  nei suoi magazzini, soprattutto quando questi erano pieni di grano e di orzo appena trebbiato che arrivava quasi fino al tetto.
All’ora della merenda, quando l’appetito si faceva sentire, puntuali tornavamo a casa di Michele, dove sua madre ci preparava dei grandi panini che divoravamo con voracità.
Solo a tarda sera rientravo a casa stanco e contento,  immaginando nuovi giochi e avventure per il giorno seguente.
Oggi che quei luoghi della nostra infanzia non esistono più così come erano, inghiottiti in buona parte dalle costruzioni e dal cemento, rimangono i ricordi (addolciti dalla nostalgia e dal passare del tempo) di un periodo spensierato. 


gl

Nessun commento:

Posta un commento